Letteratura e Danza
Letteratura e Danza
di Enrico Pieruccini
Giungendo a Verona, vi ho conosciuto, tra altri, Enrico Pieruccini. Mi ha subito colpito il suo approccio interdisciplinare alla danza, approccio che guarda sì ai contenuti e all’esecuzione di un balletto, ma guarda anche alle sue connessioni con le altre arti e discipline. Nel corso delle nostre conversazioni, è spesso emerso un amore comune per la letteratura. Un amore che Pieruccini, nel corso degli anni, ha “catalogato” dando vita a un mini-dizionario, o meglio, a una mini-bibliografia di letteratura e danza. Queste annotazioni, frutto di anni di letture, eccole in esclusiva per il mio sito.
Maria Grazia Garofoli
Hans Christian Andersen (Odense 1805 – Copenaghen 1875). Una delle sue più celebri fiabe (da cui è stato tratto il film omonimo del 1948 a firma Michael Powell ed Emeric Pressburger con Moira Shearer e Léonide Massine) è Le scarpette rosse. È la fiaba di danza per eccellenza. Macabra e triste come altre fiabe di Andersen (per lo più scritte tra il 1835 e il 1840) Le scarpette rosse ha per protagonista una bambina povera, Karin, e delle speciali scarpette rosse, definite “scarpine da ballo”. Per la cronaca le scarpe da ballo inventate dalla Camargo nel Settecento evolvono a scarpe con le punte nel 1831 quando la Taglioni le usa nell'”atto delle suore” dell’opera Roberto il diavolo di Meyerbeer e soprattutto l’anno dopo nella Sylphide. Le punte della Taglioni (canapa arrotolata e irrigidita da speciali colle) sono un’invenzione del suo calzolaio Nicolini che si porterà nella tomba tutti i segreti di quelle scarpe. L’attuale rinforzo di gesso arriverà invece ai primi del Novecento. Andersen seguì di sicuro con attenzione la nascita della tecnica delle punte. Intanto, avendo avuto un padre ciabattino, conosceva la tecnica di costruzione delle scarpe. E poi, soprattutto, aveva studiato danza. Con quale spirito non si sa. Di fatto il ballo, nella fiaba di Andersen, ha qualcosa di demonico, di irrefrenabilmente macabro. Tanto che Karin deve chiedere al boia di tagliarle non la testa ma i piedi con indosso le scarpette. Ridotta alle stampelle, troverà la pace solo quando le si spezzerà il cuore e volerà in cielo (epilogo alla Marcellino pane e vino) dove nessuno le parlerà mai più di scarpette rosse. In italiano Le scarpette rosse è contenuto nella raccolta La sirenetta e altri racconti (Eventvr og histories), Rizzoli BUR ragazzi.
James Matthew Barrie (Kirriemuir 1860 – Londra 1937). Uno dei suoi libri più celebri, Peter Pan nei giardini di Kensington (Peter Pan in Kensington Gardens, 1906), merita una certa attenzione. Pur uscendo nel 1906, viene concepito alcuni anni prima all’indomani del trasferimento di Barrie nel nuovo appartamento nei pressi dei giardini di Kensington. Per le scalze fate danzanti del primo capitolo del libro «niente forse – scrive Barrie – ha un senso del divertimento così intenso come una foglia caduta». È evidente il richiamo a una celebre frase di Isadora Duncan (“Ho danzato su questa musica come una foglia portata dal vento”) che danzò proprio in questi giardini nel 1899. Un’ulteriore conferma che Barrie abbia scritto questo capitolo influenzato dalla Duncan ci viene dalle fate danzanti disegnate da Arthur Rakam per l’edizione del 1906: le tuniche, i piedi nudi e i capelli sciolti sono molto duncaniani; per non parlare delle foglie portate dal vento.
Vicki Baum (Vienna 1888 – Hollywood 1960). Tra i suoi romanzi, alcuni dei quali trasposti cinematograficamente, uno dei più celebri è Grand Hotel (Menschen im Hotel, 1929) traslato in film nel 1932: girato a Hollywood con Greta Garbo e John Barrymore protagonisti, ebbe l’Oscar come miglior film. La vicenda è ambientata in un albergo di Berlino dove il decaduto barone Gaigern salva dal suicidio la Grusinskaja, ballerina russa in declino e se ne innamora.
Ecco, nella traduzione di Gianna Ruschena Accatino, il terribile momento in cui la Grusinskaja si rende conto che la sua carriera è vicina alla fine.
«Applausi. Pizzicato dell’orchestra. Appare in scena la Grusinskaja, che ha indossato in tutta fretta il costume da colomba ferita, con una grande goccia di sangue color rubino che le pende dal corpino bianco di seta. È stanca da morire, ma leggera, leggerissima, e coi minuscoli, tremuli battiti d’ali delle braccia va lentamente incontro alla sua morte pietosa. Tre volte si drizza, ma non può più volare. Infine il lungo collo delicato si piega in avanti, posa il capo sul ginocchio, e muore: una povera colomba colpita a morte, con una grossa ferita sul petto che la lama azzurra del riflettore mette in evidenza.
Sipario. Applausi. Applausi anche abbastanza nutriti, se si pensa come è vuoto il teatro e quante poche mani ci sono per far rumore. “Da capo?” chiede la Grusinskaja, che giace ancora in mezzo al palcoscenico. “No” le bisbiglia di tra le quinte Pimenoff con un sussurro forte, disperato. L’ovazione è finita. Finita. La Grusinskaja rimane a terra qualche minuto ancora, leggera come una piuma, con la polvere del pavimento su mani, braccia e tempie. Per la prima volta in vita sua non fa il bis di quel numero. “Non ne posso più” pensa. “No, ne ho abbastanza, non ne posso più”.
“Far posto per il cambio di scena!” grida il sopraintendente. La Grusinskaja non vorrebbe alzarzi, vorrebbe starsene lì a terra in mezzo alla scena e addormentarsi, e nel sonno fuggire da tutto».
C’è poi, sempre di Vicki Baun, il romanzoScarpette d’oro che ha per protagonista una famosa ballerina classica, Katja Milenkaja: il libro ripercorre la sua fanciullezza, l’amore per la danza, gli anni di studio, il debutto, il successo e infine il matrimonio con il medico che la cura dopo una caduta dal palcoscenico.
Ambrose Bierce (Ohio 1842 – Messico 1914). Scrittore, inviato di guerra (maestro, in questo, di Crane ed Hemingway) ed esteta bohémien affine a Oscar Wilde, è autore della celebre raccolta di definizioni paradossali e misantropiche Il dizionario del diavolo (The devil’s dictionary, 1906). Tra i suoi scritti Danza della morte (Serra e Riva, 1985) sulla mania della danza che dall’Europa, sul finire dell’Ottocento, passa in America.
Gesualdo Bufalino (Comiso, Ragusa, 1920-1996). Il suo principale romanzo, quello d’esordio, Diceria dell’untore (1981, premio Campiello), è ambientato nel 1946 in un sanatorio della Conca d’Oro. Tra i ricoverati, reduci dalla guerra, c’è Marta Blundo, ex ballerina della Scala. Tra ricordi e sogni che si sono infranti (“Non mi piace – dice Marta – il mio nome, meglio Isadora o Fanny, come la Essler, la mia dea”), fra lei e un ricoverato nasce una storia d’amore… ovviamente con i giorni contati.
Dino Buzzati (Belluno 1906 – Milano 1972). Tra i suoi romanzi l’erotico Un amore (1963) dove, nel capitolo VII e VIII, ci sono diversi riferimenti alla danza. C’è la messinscena del balletto L’étoile de soir di Lachenard con Clara Fanti prima ballerina (invenzioni narrative di Buzzati), ci sono i terribili luoghi comuni anni Sessanta sulle ballerine e un lungo ragionamento del protagonista, il quarantanovenne architetto Antonio Dorigo, sulla sensualità delle danzatrici classiche.
Sidonie-Gabrielle Colette (Saint-Sauveur-en-Puisaye, Yonne, 1873 – Parigi 1954). Nel romanzo La vagabonda (La vagabond, 1910) Renée, la protagonista, stanca di essere tradita e insoddisfatta del mondo “tutto apparenze” che la circonda, lascia il marito, la casa e la sua condizione borghese e si mette a fare la ballerina da caffè-concerto. Girando di città in città con i suoi compagni di lavoro raggiunge la serenità. E quando un uomo s’innamora di lei e le propone di mollare il teatro e diventare sua moglie, lei sceglierà la libertà fuggendo “libera e vagabonda” per sempre.
Nella bella traduzione di Anna Banti (Mondadori 1953), alcuni passi del romanzo.
La prima volta di Renée danzatrice
«Coraggio tocca a me. La mia piccola pianista rachitica è al suo posto. Avvolgo con una mano che l’emozione rende nervosa il velo che costituisce quasi tutto il mio costume, un velo rotondo viola e blu che misura quindici metri di circonferenza… Sulle prime non distinguo nulla attraverso la grata della mia gabbia di garza. I miei piedi nudi sensibili tastano la lana corta e dura di un bel tappeto persiano. Purtroppo non c’è ribalta.. Un breve preludio sveglia e torce la crisalide bluastra che rappresento, scioglie lentamente le mie membra. A poco a poco il velo si apre, si gonfia, vola e ricade, rivelandomi agli occhi di quelli che sono lì, che hanno interrotto, per guardarmi, il loro dannato chiacchiericcio. Li vedo. Mi malgrado li vedo. O fiamma protettrice, chi potrebbe costringerti a sprizzare sotto i miei passi! Danzando, strisciando, rigirandomi , li vedo, li riconosco. C’è in prima fila…».
Danza & povertà
«Cosa farà Stéphane, il ballerino, quando respirerà col suo ultimo polmone, quando non danzerà più, quando non andrà più a letto con le pietose donnine che gli pagano dei sigari, delle cravatte, degli aperitivi? Quale ospedale, quale asilo accoglierà la sua bella carcassa vuota? Ah, come tutto questo è poco allegro».
Renée, la danza e la sua idea di danza
«Via, via! Sono troppo lucida stasera e se non mi riprendo la mia danza ne patirà. Danzo, danzo… un bel serpente si arrotola sul tappeto persiano, un’anfora egiziana si piega versando un fiotto di capelli profumati, una nuvola si alza e vola via, tempestosa e blu, un animale felino si slancia, ripiega, una sfinge color di sabbia bionda distesa, si affaccia sui gomiti, i reni retratti, i seni tesi. Non dimentico nulla. Mi sono ripresa. Via, via quella gente esiste? No, no, di vero non c’è che la danza, la luce, la libertà, la musica. Di vero non c’è che ritmare il proprio pensiero e tradurlo in bei gesti. Un solo arcuarsi dei miei reni che ignorano la costrizione non basta a insultare quei corpi compressi da un lungo busto, impoveriti da una moda che li esige magri? Posso fare ancora di più che umiliarli: voglio per un solo istante, sedurli. Ancora qualche sforzo, e già le nuche cariche di gioielli e di capelli mi seguono con un vago ondeggiare obbediente. Ecco che si estingue in tutti quegli occhi, la luce vendicativa, ecco che cedono e sorridono, insieme, tutte queste bestie incantate. La fine della danza, il rumore molto discreto, degli applausi, rompono l’incanto».
Un accenno, due anni prima, al fauno di Nijnskij
«Da qualche giorno proviamo, Brague ed io, una nuova pantomima. Ci sarà una foresta, una grotta, un vecchio troglodita, una giovane amadriade, un fauno nel fiore degli anni. (…) Continuiamo a provare. Ora sono le Folies a darci asilo al mattino; oppure l’Empyrée-Clichy ci presta, per un’ora, il suo palcoscenico; così vaghiamo ancora dalla birreria Gambrinus, avvezza agli scoppi di voci del complesso Baret, alla sala di danze Cernuschi».
La vita dura di chi danza
«Nimes, Montpellier, Carcassone, Toulouse… Quattro giorni senza riposo e quattro notti. Arriviamo, ci laviamo, mangiamo, lavoriamo, danziamo al suono di una orchestra mal sicura e che decifra a stento le note, ci corichiamo – ne vale la pena? – e ripartiamo. Dimagriamo per la fatica ma nessuno si lamenta: l’orgoglio avanti tutto! Cambiamo di music-hall, di camerino, di albergo, di camera, con una indifferenza di soldati in manovra. La scatola del trucco si squama e mostra la latta. I costumi cedono ed esalano, smacchiati alla svelta, con la benzina, prima dello spettacolo, un odore stantio di cipria e di petrolio».
Wenceslau de Morais (1854-1929). In Il Bon-0dori a Tokushima (Oporto 1918) lo scrittore portoghese descrive la danza della festa dei morti che a Tokushima (Giappone) assumeva aspetti molto particolari. Ogni anno, in occasione di una cerimonia religiosa, si svolgeva una danza in costume per ricordare i defunti che in quell’occasione abbandonavano la dimora celeste per tornare nella propria casa e sul luogo della sepoltura. Nel libro-reportage di de Morais c’è una descrizione accurata di queste danze.
Francis Scott Fitzgerald (Minnesota 1896 – Hollywood 1940). Nel racconto Festa da ballo del 1926 (uscito in Italia nel 1985 a cura di Sandra Petrignani, edizioni Theoria) c’è una sala da ballo dove le figure girano in tondo come in un carillon. Di colpo irrompono la tragedia, la paura le grandi passioni e il carillon va in frantumi. «Ciò che più temo – è la frase finale della protagonista-narratrice – sono le insondabili profondità, il montare improvviso della marea, le forme segrete delle cose che, nascoste da una calma di superficie, vanno alla deriva nelle ovattate oscurità del mare». Dentro alla metafora del ballo i problemi più profondi dell’esistenza.
Ugo Foscolo (Zante 1778 – Londra 1827). Abbandonata la Lombardia e trasferitosi a Firenze, per il poco più che trentenne scrittore e poeta inizia un periodo di singolare e felice equilibrio durante il quale inizia la composizione del poema Le Grazie (tre inni dedicati alle Grazie, apportatrici di civiltà e confortatrici degli uomini) mai portato a termine.
Celeberrimo, in questo poema, l’episodio della danzatrice:
«Spesso per altre età, se l’idioma
d’Italia correrà puro a’ nepoti,
(è vostro, e voi, deh, lo serbate, o Grazie!)
tento ritrar ne’ versi miei la sacra
danzatrice, men bella allor che siede,
men di te bella, o gentil sonatrice,
men amabil di te quando favelli,
o nutrice dell’api. Ma se danza,
vedila! tutta l’armonia del suono
scorre dal suo bel corpo, e dal sorriso
della sua bocca; e un moto, un atto, un vezzo
manda agli sguardi venustà improvvisa.
E chi pinger la può? Mentre a ritrarla
pongo industre lo sguardo, ecco m’elude,
e le carole che lenta disegna
affretta rapidissima, e s’invola
sorvolando sui fiori; appena veggio
il vel fuggente biancheggiar tra i mirti».
Joseph Arthur conte di Gobineau (Versailles 1816 – Torino 1882). Tra le poche opere disponibili di questo scrittore e diplomatico sostenitore dell’incomunicabilità tra culture diverse, Le novelle asiatiche uscite in italiano nel 1984 (Guida editore). Tra le novelle, La danzatrice di Shamankha, ispirata alla fanciulla caucasica che incapace di accettare l’annientamento della sua tribù per mano dell’esercito russo e delusa dalla debolezza degli uomini che non si ribellano, decide di combattere.
Guido Gozzano (Torino 1883-1916). Tra il dicembre del 1912 e il febbraio del 1913 Gozzano compie un viaggio in India e a Ceylon e lo racconta in una serie di articoli sulla Stampa, poi usciti postumi, nel 1917. nel volume Verso la cruna del mondo. La danza di una devadasis in Lettere dall’India è uno dei pezzi forti di quell’esperienza. Da segnalare anche, per quanto riguarda la danza, La danza degli gnomi nella raccolta di novelle e fiabe I tre talismani (1914)
Albert Paris Gutersloh pseudonimo di Albert Conrad Kiehtreiber (Vienna 1887 – Baden 1973). Tra le sue opere il romanzo Die tanzende Törin (La danzatrice folle, 1911) che ne fa uno dei principali esponenti del “primo espressionismo”.
Heinz G. Konsalik (Colonia 1921). È considerato, per i quarantasette milioni di copie vendute nel mondo, uno degli scrittori tedeschi più letti del dopoguerra. Il suo maggiore successo è Il medico di Stalingrado. Tra i suoi romanzi Lo zar e la ballerina (Es blieb nur ein rotes Segel, 1980) dove viene ricostruita la passata amicizia tra lo zar Nicola II e la ballerina Matilda Feliksovna in un arco di tempo che va soprattutto dal Lago dei cigni (1895) alla Rivoluzione d’ottobre (1917). Tra i personaggi storici presenti nel romanzo il coreografo Marius Petipa ed Enrico Cecchetti. I balletti via via rappresentati (con la Feliksovna protagonista) sono Coppelia, La bella addormentata, La bajadère, Raymonda, Le corsaire, La silfide e ovviamente Il lago dei cigni di cui va in scena la prima. Memorabile, nelle pagine iniziali, la frase che motiva il passaggio di Tamara Jegorovna da étoile a direttrice della Scuola imperiale di ballo di Pietroburgo: «Mi sembra che le mie piroette diventino più lente e che i mie salti siano sempre meno alti. Ho ormai quarantasei anni. Bisogna sapere smettere».
Ferenc Kormendi (Budapest 1900 – Bethesda, Maryland 1972). Molto popolare nel periodo tra le due guerre mondiali, riattualizza per il pubblico medio-borghese il romanzo d’appendice. Tra i suoi romanzi Incontrarsi e dirsi addio dove, tra i protagonisti, c’è una ballerina.
Liala pseudonimo (coniato da Gabriele D’Annunzio per il precoce amore della scrittrice per il volo) di Amalia Liana Cambiasi Negretti (Como 1897 – Varese 1995). Tra i suoi ottanta romanzi rosa c’è Il tempo dell’aurora (1947, Sonzogno): oltre cinquecento pagine di melodrammatici intrighi passionali con, fra i personaggi, la ballerina Dianora Vincentis, il maestro di danza Vilfredo Pons e la contessina Vasco che danza per diletto.
L’approccio alla danza è di stampo piuttosto rivistaiolo anche se la copertina potrebbe far pensare (nonostante i capelli sciolti antitetici ai clichés dello chignon) ad ambientazioni scaligere con Belle addormentate e Laghi dei cigni. Dalle pagine iniziali:
«Dianora riattraversò la piazza, salì su un tassì, ordinò:
– Al Teatro Lirico.
Giunse che le prove erano cominciate e il capocomico le diede una solenne lavata di testa. Ella scrollò le spalle, andò nel suo camerino, si mise in succinto costume. E quando apparve, così bella, seminuda e sfrontata, il direttore d’orchestra, guardandola, pensò:
“Tira schiaffi da un chilometro di distanza, ma è proprio bella”.
Attaccò il pezzo che Dianora doveva ballare. E quella ballò, di malavoglia, sbagliando il tempo, esagerando i gesti, iniziando i passi di punta e ricadendo poi, subito stanca, sui talloni. Il capocomico, che la guardava, sorrideva. Egli capiva bene che Dianora era una prima ballerina mal riuscita; capiva bene che, se un anno prima quella fanciulla poteva essere stata una buona danzatrice, ora faticava a sostenere i più semplici passi classici. Tuttavia, si rendeva conto che quel bel corpo aveva più successo di un ballo ben eseguito e ben interpretato. Disse quindi alla bella danzatrice:
– Hai il nervoso nei piedi, oggi, tu: Riposa, e domani vieni meno stanca a lavorare. Mi pare che ti regga sulle punte come un’anitra…
Le ragazze del corpo di ballo risero in sordina».
Ed ecco il momento, che più rosa non si può, della lezione di Vilfredo alla contessina Vasco:
«La contessina Vasco era in piedi, minuta, agile, snella, ma tutta morbida nelle delicate forme. E la sua testolina bruna, fiera e bella, il suo volto olivastro, dove splendevano i grandi occhi grigi, parevano pervasi dalla gioia che inondava la giovane donna.
– Non sono troppo piccola per rivestire gli abiti d’una ballerina di danze classiche?
– Voi siete piccola, ma così proporzionata che potete sembrare alta. E del resto, le ballerine troppo alte non appagano l’occhio.
– Mi consolate! Le parole d’un esteta fanno sempre piacere.
– Grazie, ma venite, cominciamo…
Prese la mani della donna, la guidò. La bruna Vasco danzava con leggerezza estrema; se la sorte non l’avesse fatta nascere ricca e nobile, avrebbe potuto aspirare al ruolo di danzatrice e mantenerlo con onore. Ballando pur discosta dall’uomo, ella s’abbandonava tutta, e i suoi magici occhi grigi non lasciavano un istante il bel viso pallido di Vilfredo Pons. Egli sentiva su di sé quegli occhi, , sentiva l’ardore che bruciava le vene della giovane contessa e ne provava più dolore che piacere. Troppe donne di ogni ceto e di ogni età lo avevano guardato a quel modo; troppe donne gli si erano abbandonate tra le braccia a quel modo. E troppo egli amava Dianora, per non provare in quell’abbandono femineo risentimento anche per colei che amava».
Arturo Loria (Carpi, Modena, 1902 – Firenze 1957). Esponente, negli anni Trenta, dell’avanguardia fiorentina, fonde con maestria gusto picaresco, realismo e toni fantastici. Tra i suoi volumi di racconti La scuola di ballo del 1932.
Stéphane Mallarmé (Parigi 1842 – Valvins 1898). Il suo poemetto Il meriggio di un fauno (L’aprés-midi d’un faune, 1876), dove i simboli diventano un mezzo per rendere l’assoluto, è forse la fonte letteraria per eccellenza della danza. Traslato in poema sinfonico da Claude Debussy nel 1892-94, diventa nel 1912 l’erotico capolavoro coreografico e interpretativo di Vaslaw Nijinsky suscitando uno scandalo senza precedenti.
Ramòn Pérez de Ayala (Oviedo 1881 – Madrid 1962). Tra i suoi romanzi Troteras y danzaderas(1913) che la Garzantina traduce Vagabonde e ballerine mentre il “Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi” traduce Baldracche e ballerine. Fra i tantissimi personaggi (ministri, cortigiane, scrittori, perdigiorno ecc) di questo affresco impietoso di una Madrid dove regna Alfonso XIII (il re di Spagna esiliato nel 1931 con la proclamazione della repubblica) c’è Verònica, una piccola prostituta da pochi soldi che si redime e diventa una grande ballerina. «La Spagna – conclude l’autore – non ha dato al mondo che baldracche e ballerine», entrambe però, nel romanzo, elevate a un altissmo grado di umanità e dignità.
Pitigrilli pseudonimo di Dino Segre (Torino 1893-1975). Cocaina (1921) – suo terzo romanzo dopo Mammiferi di lusso (1920) e La cintura di castità (1920) e prima di Oltraggio al pudore (1921) e La vergine a diciotto carati (1923), tutte opere da lui ripudiate dopo la conversione al cristianesimo – è una storia d’amore e di droga che ha per protagonisti Tito, un giornalista italiano approdato a Parigi, e Maud, “danzatrice in marsina”, ovvero ballerina stile Moulin Rouge o Folies Bergéres. Ecco un numero di Maud, conosciuta nell’ambiente col soprannome di Cocaina, a cui assiste Tito.
«E venne il turno di Maud.
Tito non l’aveva mai vista così bella.
Si contorceva in una danza nuova, ritmata dall’urto dei tacchi di legno sul palco armonico: tutto il corpo sembrava disarticolato, e le braccia molli, quasi senz’ossa, s’elevavano verso il cielo, verso quel rettangolo di cielo africano su cui tutte le stelle del mondo s’erano radunate a contemplarla: oh quelle braccia di Maud, miracolosamente nude, come si alzavano, si stiravano, si allungavano verso le stelle! Ella è una cosa molle, elastica, che s’incurva a destra, a sinistra, in avanti, con la flessibilità d’un giglio che abbia un fiore così pesante da reclinare fino a terra il corpo stordito dal profumo. Sul petto e sulle braccia e intorno alle caviglie brillano gocce di sudore, e dai capelli sciolti cadono le rose e le forcine: ella sorride mostrando tutti i denti bianchissimi, e due grandi occhi stupefatti d’uccello di rapina. Dalle labbra sgocciola, col sudore, il rosso della pittura: sembrano gocce di sangue. Le macchie nere delle ascelle brillano come non hanno mai brillato nemmeno nelle notti di spasimo.
E la danzatrice continua a ondeggiare, a flettersi di qua e di là, come uno stelo di giglio investito dall’uragano.
Le contorsioni del serpente si alternano alle pigre flessuosità amorose del felino: nel suo sguardo lampeggia all’improvviso una luce cattiva, che si dissipa per cedere a un sorriso pieno di dolcezza carezzevole. Passano nel suo sguardo, la libidine, il capriccio, la crudeltà, il delitto.
Cocaina si inginocchia, s’arrovescia indietro, a ponte, come per offrire il sesso alla platea.
Si oscura, risollevandosi, e ride.
Una collera improvvisa l’assale: batte rabbiosamente i tacchi e si rivolta come se fosse trafitta da qualcosa d’immondo. E poi s’accovaccia, si rialza, si contorce, sorride al cielo: s’immobilizza in una breve pausa, fissando le stelle come crocefissa dalla meraviglia. E poi piomba come corpo inerte, e non si alza che per ringraziare e sorridere a tutta quella gente che applaude con mani nere e con grida incomprensibili».
Tra le curiosità di questa descrizione a firma di un donnaiolo irrefrenabilmente maschilista e misogeno (tra gli aforismi di Pitigrilli il celebre “Una signorina che disprezza una cocotte è come un riformato che disprezza un eroe”) le ascelle non depilate di Maud e il parallelo danza-sesso.
Georges Raymond Constantin Rodenbach (Tournai 1855 – Parigi 1898). Dopo avere fatto parte del gruppo “La Nouvelle Belgique”, si trasferisce a Parigi dove subisce le influenze dei parnassiani e dei simbolisti. Prevalgono poi in lui, come poeta e anche come romanziere, i toni nostalgici e intimisti che lo portano a rievocare i paesaggi del Belgio. Il suo romanzo più celebre è Bruges la morta(Bruges la morte, 1892) edito in Italia nel 1995 da Fazi editore: ne è protagonista Hugues Viane che, rimasto vedovo, si stabilisce a Bruges in quanto “città della grande malinconia” spesso sotto il velo della pioggia. Qui, colpo di scena, s’imbatte nella ballerina Jane Scott, sosia perfetta della defunta moglie. Altro colpo di scena a teatro quando lei esce danzando da una tomba in una lugubre scena di suore ridestate dalla morte in un cimitero. Seguiranno altri colpi di scena e un epilogo tragico.
Arthur Schnitzler (Vienna 1862-1931). Drammaturgo e romanziere, anticipa, senza essere capito dai contemporanei, il tema della finis Austriae che poi esploderà nella letteratura tra le due guerre. Tra le sue opere, due hanno una certa attinenza con la danza. Una è Girotondo (Reigen, 1897), dieci dialoghi amorosi fra varie lei e vari lui (prima e dopo l’atto sessuale) con le coppie che di volta in volta si scambiano: definito dai critici una sorta di “danza macabra dell’amore”, ha ispirato il secondo episodio, Ring around the Rosy del film Trittico d’amore (Invitation to the dance, 1956) di Gene Kelly, grande film-balletto senza una parola di dialogo. L’altra è il racconto La danzatrice greca (Die griechische Tänzerin, 1897) pubblicato in Italia dalle edizioni Studio Tesi nel 1982. Una storia d’amore (e di morte) con, al centro, una stupenda statua in marmo di una danzatrice greca… Gregor Samodeski, il suo autore, Madeleine, che ha fatto da modella, e Mathilde, la moglie tradita di Gregor che ha fatto di Madeleine la sua amante.
Misia Sert (Pietroburgo 1872 – Parigi 1950). Nata col cognome Godebska, la mecenate Misia Sert è il trait d’union tra Belle Epoque e anni Venti. Ormai cieca, detta le sue memorie che escono postume, nel 1952 col titolo Misia, edite da Gallimard. La prima edizione italiana (Adelphi edizioni) è del 1981. Queste memorie sono strapiene di riferimenti a personaggi come Mallarmé, Diaghilev (a lui sono dedicati i capitoli 17, 18 e 21, quest’ultimo sulla sua morte), Debussy, Stravinsky, Lifar e alla danza in genere. Eccone alcuni nella traduzione di Nancy Marotta.
Infanzia
«Lo scalone ci serviva anche per dare degli spettacoli. Allora, a piedi nudi, mi trasformavo in ballerina e inventavo instancabilmente delle danze, partendo dal pienerottolo e atterrando al pianterreno.
(…) Una volta alla settimana avevamo lezione di buone maniere. Il professore era un vecchietto armato di un violino in miniatura che ci insegnava le riverenze, il valzer e la quadriglia».
Diaghilev, Picasso e Stravinsky
«Il periodo rosa seguì quello blu, poi venne quello dei donnoni grassocci e l’incontro con li teatro grazie a Diaghilev, per il quale fu fatta la deliziosa scenografia bianca e rosa del Tricorne e l’indimenticabile sipario di Parade. Sapientemente introdotto da Paul Guillaume, Picasso entrò nel cervello e nel salotto delle persone intelligenti tra l’arte negra e il doganiere di Rousseau. Fu così che le signore del bel mondo passarono allegramente, di punto in bianco, da Jacques-Emile Blanche a Picasso e da Reynaldo Hahn a Stravinsky».
Renoir e i Ballets Russes
«Quando volevo far piacere a Renoir, lo portavo agli spettacoli di Diaghilev. S’era innamorato dei Ballets Russes e aveva per Serge una grandissima ammirazione. Quando veniva cercavo di avere il palco vicino alla scala, perché il suo trasporto non fosse troppo complicato. Si metteva lì tutto impettito, col suo berrettino, e non perdeva un attimo della rappresentazione, divertendosi come un bambino. La Karsavina, con un’aigrette sulla testa, poteva farlo applaudire instancabilmente. Il carattere orientaleggiante delle scenografie di Bakst e di Benois lo incantava. Schéhérazade, per esempio l’aveva estasiato. E Diaghilev teneva sempre moltissimo alla sua approvazione».
Edward Stewart. Tra le sue opere narrative, il romanzo Ballerina edito in Italia da Sperling&Kupfer.
Frank Wedekind (Hannover 1864 – Monaco di Baviera 1918). Celebre soprattutto come drammaturgo, è autore anche di racconti, novelle e saggi tra cui l’importante Sull’erotismo (Uber Erotik, 1906). Fra i suoi migliori racconti il misterioso e trasparente Mine-Haha, ovvero “dell’educazione fisica delle fanciulle” (Mine-Haha oder Über die hörperliche Erziehung der jungen Mädchen, 1903), titolo che rimanda a un nome indiano di donna traducibile in “acqua ridente”. La vicenda si svolge in un grande parco disseminato di case basse coperte di rampicanti. Qui bambine e ragazze passano i loro primi anni di vita. L’insegnamento che ricevono riguarda unicamente il loro corpo: vengono educate a “sentirlo” e a dargli perciò un’erotica “elasticità”. Il mondo esterno non ha nessun contatto con questo parco ma lo finanzia nell’attesa di ricevere le fanciulle che vi sono ospitate. Perché il passaggio, a un certo punto, nel mondo? Quale funzione avranno queste deliziose fanciulle nel mondo? Nel descrivere i misteri del parco Wedekind sottolinea una certa utopia del corpo attraverso momenti anche di danza. Eccone alcuni nella traduzione di Vittoria Rovelli Ruberl (Adelphi 1975).
La spaccata
«Una volta mi misi a gridare. Wera era in piedi davanti a me e, mentre mi parlava tranquilla, fece scivolare lentamente i suoi elastici piedini sulle mattonelle lisce allontanandoli uno dall’altro, fino a toccare il pavimento con il bacino. Fu come se mi sentissi io stessa spaccata a metà. Ma con altrettanta tranquillità, senza muovere le spalle, senza piegare i ginocchi, come si era abbassata torno a rialzarsi. Che forza doveva esserci in quelle giovani membra!»
Quel corpo che m’inebriò
«Non mi riesce facile ora, a sessantatré anni, rendere in tutta la sua intensità l’impressione che allora provai. Simba era grande e insieme sottile come un filo, ma sul suo corpo non si vedevano né costole né tendini. La fissavo e avevo una sensazione come quella notte quando avevo sognato Morni. Il suo modo di distendere il corpo, di sollevare e abbassare il ventre, l’agio delizioso con cui lasciava cadere all’indietro le spalle, la dolce indolenza delle sue membra abbandonate, la flessibilità del suo corpo, il piacere col quale lei stessa sembrava prendere coscienza del proprio corpo e che trovava espressione in ogni piccolo movimento, tutto questo mi inebriò, mi affascinò, mi sopraffece a tal punto che per due giorni andai in giro come in un dormiveglia e dovunque guardassi avevo davanti a me solo la sua immagine».
Lezioni di danza
«Simba dava lezioni di danza. Ogni quindici giorni dovevamo riunirci alla Casa Bianca, sempre solo le più giovani di tutto il parco, una ragazza per ognuna delle trenta case. Le nostre accompagnatrici vennero solo la prima volta. Le lezioni cominciarono con le danze patetiche, dove non riuscivamo mai a muovere le nostre membra con sufficiente lentezza. Solo nel secondo anno passammo alle danze più veloci, per le quali portavamo dei pesanti zoccoli nelle cui suole era addirittura inserito del piombo. Questo scioglieva le articolazioni così in fretta che ben presto tutte riuscivamo a slanciare con facilità i piedi sopra la testa delle altre».
Nessuna come Wera
«Wera fu prescelta e per tutto l’inverno fummo solo in sei. Il suo modo affascinante di danzare ci rimase vivo a lungo davanti agli occhi. Le sue giunture sottili, le sue belle membra, i suoi movimenti maestosi non li aveva nessuna di noi».
William Butler Yeats (Dublino 1865 – St. Martin, Francia 1939). Tra le sue opere Four players for dancers.