Cenerentola
02 Gen 2007, Pubblicato da RECENSIONI inMeritati applausi per un balletto dall’impronta moderna
che però non dimentica la fiaba. Interpreti molto validi
L’eterna magia di Cenerentola
di Daniela Bruna Adami
Dalla Obraztsova leggerezza e tecnica impeccabili, eccellente Nezha
Tanti applausi ha tributato il pubblico del Filarmonico alla nuova messinscena del balletto Cenerentola di Maria Grazia Garofoli sull’omonima musica di Prokofiev. Meritati, occorre dire subito, perché la coreografa della Fondazione Arena è riuscita nell’intento di rendere tutta la magia della fiaba di Perrault e una lezione di vita che vale in ogni tempo, cioè che i sogni si possono avverare se accettiamo le difficoltà del percorso e se abbiamo dentro di noi dei valori. Cenerentola aveva solo bisogno di un’occasione, e un suo gesto di benevolenza nei confronti della mendicante-fata gliela darà, realizzando i suoi desideri.
Che, nella versione della Garofoli, sono la partecipazione ad una serata mondana, ma soprattutto il riavere la sua famiglia unita come quando era bambina, con la madre ancora viva e il padre giovane e forte, non quel vecchio che non la sa difendere dalle angherie delle sorellastre. Otterrà un padre bello e protettivo, che la aiuterà, che le procurerà le scarpette da ballo (come nel film Scarpette rosse), che la accompagnerà in carrozza, che la presenterà agli ospiti della festa, e che alla fine benedirà la sua unione col principe. Un tema dai rivolti psicanalitici sotteso alla fiaba che era stato sfruttato anche da Nureyev, nel coreografare vent’anni fa questo balletto per l’Opera di Parigi. Il celebre ballerino aveva tradotto la storia nella Hollywood degli anni Trenta: Cenerentola è una perfetta sconosciuta, che avrà il suo quarto d’ora di celebrità grazie all’incontro con un produttore cinematografico, paterno più del vero padre alcolizzato e che la trasforma da brutto anatroccolo a cigno; ritornerà poi nell’anonimato, lasciando dietro di sé la scarpetta e un principe-divo dello schermo innamorato di lei.
Invece nella nuova versione veronese, pur modernizzata, non vengono fortunatamente perduti i riferimenti fiabeschi, che restano nell’iconografia dei personaggi e nelle belle citazioni coreografiche frutto della storia artistica della Garofoli. E in questo senso si legge anche la scelta di un doppio cast per sorellastre e matrigna, un trio femminile (alla “prima”) e uno maschile en travesti come avevano fatto Ashton e Gai, e in parte Nureyev. La vicenda familiare di Cenerentola, per la Garofoli diventa talmente centrale che la trasformazione del padre oscura la magia delle fate delle stagioni, e alla fine fa saltare completamente il viaggio del principe, il quale arriva subito a casa di Cenerentola, dove sempre il padre farà scoprire la vera identità della figlia.
Molto del successo di questa Cenerentola nostrana si deve all’orchestra, diretta da Julian Kovatchev, che ben sottolinea le dolcezze e le asperità della partitura di Prokofiev, e soprattutto agli interpreti, a partire dalla ventiduenne protagonista russa Eugenia Obraztsova, una leggerezza e una tecnica impeccabile, e morbidezza di braccia come da scuola Vaganova. Lasciano senza fiato i suoi equilibri in punta, le diagonali di pirouettes e i manège perfetti. Pur senza le stesse doti attoriali, altrettanto strepitosi i virtuosismi di Eris Nezha (il principe). Giovanni Patti dà un inedito vigore alla figura del padre e Amaya Ugarteche, sempre magnifica, è una fata da ricordare. Vanno segnalati la vis comica di matrigna (Lucia Ratti) e sorellastre (Alessia Gelmetti e Teresa Strisciulli), cui viene dato parecchio da ballare, e l’ottimo amico del principe Antonio Russo.